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Una singolare mostra “Paese che vai, Corajisima che trovi”, nata dalla collaborazione tra le associazioni Radici Calabre e Momenti d’Arte,  è dedicata ad una tradizione quasi scomparsa: le bambole Quaresima che  un tempo venivano realizzate nel Centro-Sud Italia come calanedario  rurale.

Bambola di Luzzi (Cs)

Foto di Andrea Bressi

È in corso fino al 15 marzo  a Catanzaro, nel quartiere Lido. Dal 24 marzo al 2 aprile la mostra si sposterà nel centro di Catanzaro, nei locali espositivi dell’ex Stac.

Ha come protagoniste le Corajisime, bambole Quaresima, che come ogni anno, ancora  in diverse località del Centro-Sud Italia, ritornano a fare capolino «fuori dalle abitazioni, alle finestre e sulle porte, appese ai balconi, sospese ad un filo teso da una casa all’altra dei vicoli, con i loro arrangiati lunghi abitini di stoffa nera, le faccine pallide allungate,  con un fazzoletto scuro in testa e quegli occhietti che,  se pur solo accennati con un po’ di filo, sembrano aver vita e scrutare guardinghi i mutamenti del paese e del fare della gente» come  spiega Andrea Bressi, ricercatore di tradizioni popolari che da alcuni anni ha intensificato la sua attività d’indagine su questa particolare usanza.

Le Corajisime «sono rudimentali pupattole di pezza, dalle origini remote, che fanno la loro comparsa il Mercoledì delle Ceneri, dopo che, il giorno precedente, Martedì Grasso, in molti paesi si è inscenata, tra pianto e risa, la morte di Re Carnevale.

Rappresentano la Quaresima, nell’immaginario popolare la moglie o la sorella di Re Carnevale, cioè la fine dei festeggiamenti e delle abbuffate di maccheroni al sugo di carne, frittate e polpette», racconta Bressi che  fa parte del sodalizio  Rete delle Bambole Quaresima, costituita da rappresentanti delle regioni: Abbruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Campania e Calabria.

I suoi  componenti si  occupano della tutela e salvaguardia di un’antica tradizione che rientra  nel patrimonio culturale  italiano;  in quest’ottica  s’inserisce anche una pubblicazione, “La festa delle bambole volanti, un rito antico che rinasce”, autori  Francesco Stoppa e Vilma Recchia, data alle  stampe da Edizioni Universitarie romane, alla quale Bressi ha dato il suo contributo.

Le bambole quaresimali assumono nomi diversi a seconda della regione di provenienza. Tra questi: quarantana, caremma, corajisima e kreshmza nella tradizione arbëresh.

 

Bambola di Cerzeto (Cs)

Foto di Andrea Bressi

Le Corajsime nella realtà  rurale rappresentavano e per chi porta avanti questa tradizione rappresentano una sorta di calendario.

Dal punta di vista simbolico dichiarano «la propria adesione alle restrizioni del periodo quaresimale e lo  per rammentano, quotidianamente, anche ai passanti» prosegue Bressi. Ad indicare metaforicamente lo scorrere del tempo, con un rimando  alla mitologia classica, le bambole recano in mano filo e fuso.

Il periodo quaresimale di penitenza e purificazione è simboleggiato ancora da sette penne di gallina infilzate a seconda dell’usanza del luogo, in un’arancia, una patata o un limone ad esempio, posti sopra la testa o a piedi della bambola. Ogni domenica se ne leva  una, fino ad arrivare al giorno di Pasqua, quando  si sfila l’ultima,  che solitamente è bianca.


Le bambole sono realizzate, in varie fogge, dai colori ai tessuti agli addobbi, secondo le tradizioni locali.   Possono recare collane di fichi secchi, uvetta o  castagne. Anche frutti e acini vengono disposti di norma in numero di sette.


È un universo da esplorare  questa tradizione con le sue tante sfumature, dovute un tempo alla sua vasta diffusione. Di questa ricchezza folklorica ci si può rendere conto vistando la mostra allestita, fino al 15 marzo,  presso la Galleria “Momenti d’Arte” (Modà), e  curata dalla presidente dell’omonima Associazione, Antonella Gentile.

In mostra  circa cinquanta bambole provenienti  da diversi borghi Calabria, dalla tradizione arbëresh e grecanica e dalle diverse realtà regionali che fanno capo alla Rete delle Bambole Quaresima. In quest’iniziativa la tradizione si lega, ancora, all’espressione figurativa e pittorica. Attraverso l’interpretazione che dieci artisti (Giulia Febbraro, Angelo Di Lieto,  Antonio Alfieri,  Antonietta Tolomeo, Damiana Merante Rosella Costa, Sara Lizzio e la stessa  Antonella Gentile) ne hanno fatto, si è dato vita ad una collettiva di opere.

                                                                                                                                                                        

                                                                                                                                                                                                                               Maria Patrizia Sanzo