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Libero ricercatore, polistrumentista, figlio d’arte, esperto di strumenti musicali, di danze, canti e usi della cultura popolare. Andrea Bressi, 34 anni, nasce e cresce in un ambiente che suscita e stimola la sua curiosità.

Andrea Bressi

Con i suoi inseparabili compagni di viaggio, l’organetto diatonico e la sua chitarra battente, intrattiene e strappa sorrisi al suo pubblico, dal web alle piazze calabresi, da un'osteria cittadina a un pub di Berlino,  ai grandi festivaldi musiche e danze tradizionali.

Poliedrico, vulcanico e creativo collabora con formazioni teatrali e gruppi musicali dei quali è stato anche fondatore. Prende parte, portando il suo contributo, in numerose attività, eventi culturali, festival e convegni.

Collabora attivamente, come organizzatore e curatore del laboratorio di danza tradizionale diffusa nell’area del Reventino, con il progetto “Felici & Conflenti”,  sin dal 2014,  prima edizione del festival che accoglie partecipanti da tutta Europa.

Condivide la passione per la ricerca e la musica con il fratello Alessio. Assieme  dal 2012 al 2015 e  nel 2019,  hanno partecipato  al Diamante Peperoncino Festival, portando in scena la tradizionale performance dei burattini da gamba. Nel 2019,  affiancati  dall'Associazione Magarie, hanno rappresentato la Calabria, in Piemonte,  al festival  internazionale di musiche e di danze tradizionali Gran Bal Trad a Vialfrè

Dello stesso anno è la partecipazione,  in Toscana, alla  sedicesima edizione del  Festival delle regioni “Bucine in fiore”.

Dal 2016 Bressi è membro attivo di un sodalizio di appassionati, studiosi, antropologi, compagnie di tradizioni popolari e proloco che rispettivamente in Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise e Puglia, custodiscono, appofondiscono e tramandano la consuetudine delle bambole quaresimali.

Ma è dal 2018  che con lo spettacolo  “Vinni ma Cantu”  veste i panni inconsueti del cantastorie,  portando sotto i riflettori una Calabria a molti sconosciuta, invitando a riflettere su problematiche attuali e paradossi della società odierna con suoni, canti e racconti ne descrivono i vezzi.

 Ed ecco l'opportunità di conoscere meglio questo menestrello catanzarese.


Quando è iniziato il tuo percorso artistico?   

Andrea Bressi durante uno dei suoi spettacoli

«È stato mio padre, Silvestro, pubblicista e scrittore, a trasmettermi la passione per la musica di tradizione orale e  allo stesso tempo l’interesse per la cultura popolare. Sicuramente, essere nato e cresciuto tra strumenti musicali, libri inerenti la storia e le tradizioni regionali, come assistere già da piccino ai concerti dell’affermato storico gruppo Re Niliu o agli spettacoli dei cantastorie Otello Profazio e Claudio Sambiase hanno influito molto sul mio percorso artistico e sulla mia formazione.

Così all’età di circa sedici  anni ho abbracciato il mio primo strumento, l’organetto diatonico, ed insieme a mio fratello  abbiamo dato il via a una serie di collaborazioni con artisti e formazioni musicali.

Nel 2006 ho fondato insieme ad fisarmonicista e organettista catanzarese Antonio Lamanna, il gruppo "Jamuninda".  E qualche anno dopo, in ambito universitario, è nata la formazione "Radici Calabre", che ha unito per ben sei anni  giovani musicisti delle varie provincie calabresi e  portato suoni e canti tradizionali  anche oltre i confini nazionali.  

Al progetto "Giamberiani" abbiamo dato vita con Daniele Mazza, liutaio e polistrumentista di Tiriolo (Cz), con la collaborazione di mio fratello Alessio Bressi e dei  musicisti Giuseppe Muraca e Giulio Mancuso».

Qual è la tua formazione? 

Giuseppe Soluri ed Andrea Bressi

«Mi sono avvicinato prima all’organetto diatonico a 4 bassi, apprendendo le suonate che si tramandavano nel catanzarese, osservando gli anziani del mio quartiere Santa Maria di Catanzaro. Ci tengo a menzionare:  Raffaele Cristiano  cantore e suonatore di organetto, di una famiglia di zampognari e suonatori tradizionali,  e Domenico Chiarella  virtuoso e vulcanico polistrumentista, con i quali continuo a condividere genuine serate di allegria, che si rivelano per me sempre momenti di arricchimento. 

Un doveroso ringraziamento lo devo anche e soprattutto a i due miei validi maestri che non ci sono più:  Giovanni Loprete, tra i primi riferimenti per l’organetto che mi ha trasmesso le basi dello strumento e alcune suonate tipiche locali  e Giuseppe Soluri, “mastru cantatura”  quest’ultimo oltre a suonatore di zampogna, pipita e organetto potremmo definirlo un albero di canto, un pozzo di saperi, di canti e cunti, che custodisco gelosamente, e che ripropongo nei miei spettacoli.

Sono, insomma, discepolo degli ultimi cantori e suonatori di musica popolare del catanzarese dai quali ho appreso stili e tecniche di esecuzione, come anche innumerevoli canti, stornelli e tantissimi racconti...

Oltre ai saperi acquisiti sul campo, ho ampliato le mie conoscenze dei repertori tradizionali per chitarra battente e perfezionato la tecnica esecutiva, frequentando:  nel 2010, il Conservatorio di Musica popolare della Calabria "Antonio Procopio" a Isca sullo Jonio (Cz),  con il maestro Sergio Schiavone e nel 2015  il corso sperimentale di Musica popolare presso il Conservatorio "Torrefranca" di Vibo Valentia,  classe di chitarra battente con il maestro Danilo Gatto».  

Come ti sei avvicinato all’arte del cantastorie?

Con lo spettacolo "Vinni Ma Cantu. Suoni, canti e racconti",  calandomi  nei panni del cantastorie, ho ufficializzato, il mio essere improvvisatore e  rimatore dialettale.   Diveniva sempre più forte in me la necessità di tirar fuori e dare valore alla mia capacità di coinvolgimento e  di incantatore di grandi e piccini, nel riportare aneddoti e racconti della tradizione orale.  

Cosa significa essere un cantastorie e cosa significa esserlo nel 2020?

Andrea Bressi, nel 2013, con la suonatrice centenaria Gloria Santa Paparo, foto del ricercatore David Marker

«Il cantastorie è una figura complessa, con funzioni  e caratteristiche che sono un po’ cambiate nel tempo. Il cantastorie era un poeta ambulante, che con qualche strumento e  con grande capacità di intrattenimento,  portava buone e cattive notizie, storie di vincitori e vinti.

I cantastorie facevano ridere, ma anche piangere e commuovere, parlavano di emigrati e di briganti, miti e leggende, di grandi personaggi, raccontavano aneddoti legati alla cronaca locale.

Ho colto della figura del cantastorie la capacità di intrattenere, di coinvolgere, di far divertire, con storie e canti della tradizione.   
Ho abbracciato  quest'arte, conscio della fortuna avuta di raccogliere, personalmente un'infinità di storie, racconti che meritano di essere conosciuti, che riporto in maniera coinvolgente e spesso comica.

Faccio divertire con la tradizione, ma ho inserito, di recente, nello  spettacolo anche qualche brano di mia composizione, così da far sentire la voce di cantastorie del terzo millennio,  ispirandomi a problematiche attuali o a situazione vissute in prima persona».

 


Pensi che i canti di un tempo possano essere attuali? Quale il contenuto dei tuoi spettacoli?

«Sì, sono sempre attuali. Molti brani hanno significati importanti, sono forieri di insegnamenti morali o saggi consigli.
Un esempio è il racconto legato al mese di marzo, che nell’immaginazione popolare è un  fanciullo birichino con il mantello che fa i dispetti a sua mamma e ai pastori. Questo per evidenziare che si tratta di un mese pazzarello, con instabilità climatica e come riportato in molti proverbi è un personaggio inaffidabile e insidioso per la salute dei più deboli: anziani e bambini.  "Marzu marzicchiu, nu jornu ti vagnu, e n’atru t’assulicchiu".  Molto spesso si cantano canzoni senza prestare attenzione ai testi o a quanto di profondo celano. Il cantastorie con i suoi preamboli,  aiuta spesso a carpire e a far emergere proprio il significato ed il senso.
Una ninna nanna catanzarese recita “ninna ninna, ninna ninnareddha, ‘u lupu si mangiau a pecureddha”, che implicitamente richiama un detto ed un insegnamento  “cu pecura si fa ‘ u lupu su mangia”,  vale a dire che il più forte ha  la meglio sul più debole che non si difende.  E potrei continuare all’infinito!

Uno tra i brani molto apprezzati  del mio spettacolo narra di un bimbo disobbediente che si rifiuta  di dare aiuto alla sua mamma, accampando la scusa di avvertire dolore al collo: “mamma ‘on pozzu, mi dola ‘u cozzu”.  Era una storia destinata ai bambini per inculcare valori importanti, quella dell'impegno e della responsabilità,  “cu fatica mangia”,  per mangiare bisogna lavorare.  Il brano prosegue: il piccolo viene chiamato per prendere posto a tavola e improvvisamente guarisce, “mamma ca pozzu, mo m’aiutu comu pozzu”.  È una grande soddisfazione quando  il pubblico intona le strofe, con piacere insieme a me».

Qual è la reazione dei bambini ai tuoi spettacoli?

Il cantastorie durante un laboratorio con i bambini

In varie occasioni ho tenuto per loro incontri-laboratori sulle tradizioni popolari, sui canti e i suoni del Natale, sulle figure tipiche del Carnevale e i riti quaresimali,  presso gli istituti scolastici, biblioteche, in collaborazione con amministrazioni comunali, in location dall'atmosfera magica quali castelli o ludica dei parchi divertimenti.

I bambini amano le mie storie e le mie canzoni. Sono molto curiosi, ascoltano  in educato silenzio, poi "bombardano" di richieste,  di domande per colmare curiosità  che rilevano grande acume. Stupiscono spesso per la loro capacità di cogliere passaggi, dettagli e sfumature. Per loro ho tirato fuori antiche fiabe, quali "Petrusinella", "Il vecchietto e il topolino" o la storiella dei due ceci».

I cantastorie fanno ricerca antropologica, come ti poni in questo senso?

«Io trovo gusto a far rivivere il patrimonio popolare calabrese,  non ad attingere dal web o alla tradizione culturale di altre regioni. Dietro i miei brani c’è un meticoloso e lungo lavoro di ricerca sul campo.

I cantastorie di un tempo lo erano per mestiere vero e proprio, tramandavano quanto  ascoltato da altri vecchi cantastorie e proponevano brani  di propria composizione, nel loro ruolo di suonatori ambulanti, di intrattenitori, ed assolvendo  anche ad una sorta di funzione di "notiziario".

Grazie a loro arrivano a noi la leggenda di Donna Candia o Donna Canfora, la leggenda di Colapesce. Caratteristiche dei cantastorie erano anche saper incantare il suo pubblico e  far divertire.

Nel solco di quella tradizione, attingo  al mio archivio di conoscenze, partendo dalle ricerche di mio padre e compiute da me e mio fratello.   Nelle mie performance di strada o sui grandi palcoscenici, amo far riaffiorare storie poco conosciute che destano la memoria degli anziani, facendo ritornare alla mente  usi, credenze, quotidianità dei tempi passati,  che al contempo stupiscono e affascinano le nuove generazioni».  

                                                                                                                                                               Maria Patrizia Sanzo