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Guerra, speranza, inchiostro”, è un libro nel quale la microstoria, la storia di persone comuni si lega alla grande storia, quella della seconda guerra mondiale.

La copertina

In particolare si sofferma sulla realtà degli Imi, Internati Militari Italiani, ufficiali, sottufficiali e soldati che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, furono catturati su vari fronti di guerra.

Uomini che posti davanti alla scelta di continuare a combattere a fianco dei Tedeschi, rifiutarono per mantenere fede al giuramento alla bandiera italiana e con la deportazione pagarono il loro “no”.

Un “no” reiterato, non espresso una sola volta, come evidenziato dal generale Pasquale Martinello dell’Associazione Culturale Calabria in Armi intervenuto alla presentazione di debutto del libro, scritto da Felice Izzi ed edito da La Rondine, tenutasi a Davoli, nella provincia di Catanzaro.

Un “no” che ci ha consentito, ha proseguito, di affermare una solidità di valori unica, base e fondamento del nostro vivere odierno. Una resistenza che si è manifestata nel chiuso dei lager, posta in essere da uomini che anche con il sacrificio della loro vita ci hanno consegnato un mondo migliore.

Sono le piccole storie, ha osservato, Valerio Maria Cuteri dell’Associazione Nazionale Partigiani d’ItaliaSezione di Soverato, che «formano questo straordinario fenomeno che è stata la Resistenza, così come i “no” che hanno portato alle fucilazioni o a sviare le truppe tedesche. Sul sangue versato sui monti è nata la nostra Costituzione».

Il racconto parte da Sellia Marina, un tipico borgo del ‘900, adagiato tra mare e montagne, ancora non riconosciuto come paese, calato nell’ordinarietà della vita rurale, legata alle stagioni, in un dimensione lenta di un tempo scandito da riti religiosi.

Da lì si dipana la storia, la microstoria, che ha come capostipite Francesco. Di guerre, chiamato sotto le armi, ne vivrà due: la prima e la seconda guerra mondiale. Francesco ha otto figli, tirati su da solo dopo la morte prematura della moglie.

Ma per un destino beffardo e avverso, come se l’esperienza non avesse insegnato nulla, anche tre dei suoi figli vengono chiamati al fronte, sconvolgendo quotidianità ed esistenze: Gerardo in Germania, Rosario in Austria e Giuseppe in Montenegro.

Di Giuseppe, Francesco non saprà nulla, per circa diciassette mesi. Ma Francesco si aggrappa alla fede ed in ogni lettera benedice i suoi figli.

Il romanzo, così Felice Izzi, definisce la storia che ripercorre, si basa sul diario sul quale Rosario, in veneranda età, con precisione appunta memorie per tramandarle alle nuove generazioni e che lascia alla nipote Anna.

Un momento della presentazione

Sarà lei, docente in pensione, a riprenderlo in mano durante la pandemia, avviando la sua attività di ricerca di ulteriore documenti e carteggi, tra amici e parenti.

C’è un altro diario che supporta l’opera di Izzi, un quaderno, annotato durante la prigionia da Gerardo, padre di Anna, che, finita la guerra, dopo aver prestato servizio a San Marco Argentano (Cs), una volta pensionato si trasferisce a Davoli.
Settantaquattro pagine nelle quali, giorno per giorno, Gerardo appunta ciò che accade. Un diario tenuto e celato tra le sue povere cose, con grande rischio e difficoltà.

Nonostante la prigionia del lager c’è la volontà di proiettarsi oltre.  Con caparbietà Rosario, divenuto poi insegnante, in un primo tempo riesce anche a viaggiare per sostenere degli esami universitari, e successivamente addirittura a scrivere la tesi su Freud con una macchina da scrivere tedesca, reperita nel campo.

Ma diversamente da una realtà mitigata che questi episodi potrebbero far pensare, gli Imi erano trattati alla stregua di schiavi dai Tedeschi, senza un briciolo di umanità, né rispetto e dagli scritti autografi di chi quell’esperienza l’ha vissuta, traspaiono sentimenti di paura, preoccupazione, stanchezza, rassegnazione, il freddo patito e le violenze subite.

Un particolare della mostra

“Badogliani”, per apostrofarli come “traditori”, venivano additati dispregiativamente, i nostri soldati, dai Tedeschi, che li degradarono d’ufficio.

«Queste carte sono il sangue, il cuore, il dolore e la fame di chi li ha scritte» ha sottolineato Anna Arturi, spiegando come alla stesura del libro si sia giunti dopo due anni di ricerche. «Questo libro onora la memoria dei miei cari – ha proseguito – ma anche di tutti coloro che sono morti per un domani di pace».

Izzi nell’illustrare il contenuto del suo lavoro, si è soffermato sulla realtà storica dei circa 800 mila militari catturati dopo l’armistizio, seicento dei quali rifiutando la collaborazione con i Tedeschi furono spediti nei lager.

Una pagina di storia italiana che meriterebbe di essere approfondita e che di recente pare stia destando interesse crescente, per il recupero della memoria storica di una nazione, per quelle tante storie che attendono ancora di essere scritte, raccontate, per quelle pagine di umanità che ancora mancano.

Alla presentazione ospitata, nella sala consiliare del Comune di Davoli, hanno partecipato, oltre agli intervenuti già citati, rappresentanti istituzionali, della Guardia di Finanza, corpo del quale facevano parte Gerardo e Giuseppe Arturi, l’attore Fulvio Calderoni, che con grande capacità di immedesimazione ed intensità ha restituito voce e anima alle testimonianze tramandate su carta.

Vibranti anche le emozioni che ha saputo trasmettere l’esibizione del Coro “Santa Barbara”. Con competenza Raimonda Bruno ha coordinato le varie fasi della presentazione. Durante l’appuntamento sono stati esposti al pubblico foto, documenti e cimeli custoditi dalla famiglia Arturi e il diario di prigionia di Gerardo.