Cosa si mangiava nel Medioevo? Cosa mangiavano i Normanni? Come la scoperta di nuovi continenti, con l'introduzioni di nuovi prodotti, ha influito sulle abitudini alimentari e come si è arrivati alla dieta mediterranea? Sono solo alcune delle domande alle quali si è cercato di dare risposta in un ampio excursus che ha delineato una ricca tradizione gastronomica.
L'occasione è stato il convegno a Chiaravalle Centrale (Cz), promosso dall'Amministrazione comunale. Cornice dell'evento Palazzo Staglianò, luogo di particolare pregio architettonico della città.
Dopo i saluti di rito di rapresentanti istutuzionali locali (del vicesindaco, Stefania Fera, dell’assessore al Turismo, Gianfranco Corrado e di Gregorio Muzzì per il Gal Serre Calabresi) i lavori introdotti e coordinati dal giornalista Francesco Pungitore sono entrati nel vivo con gli interventi dello storico Ulderico Nisticò e della dietista Roberta Staglianò.
Ha preso così il via un viaggio che ha tracciato «lo “strano” panorama della Calabria gastronomica di mille anni fa: senza patate, senza pomodori, senza peperoncini. Tutti arrivati in Europa dopo la scoperta delle Americhe.
C’era, forse, lo stocco, importato proprio dai Normanni. Eredità dietetica vichinga della lontana Norvegia, quella del pesce essiccato che, ancora oggi, occupa un posto privilegiato nei nostri menù tipici.
Ma, sul punto, non c’è chiarezza e rimane ancora in piedi la secolare querelle tra messinesi e veneziani su chi, per primo, abbia portato sulle tavole italiane il famoso merluzzo delle lontane isole Lofoten», così com'è stato osservato.
Si consumavano ampiamente le erbe spontanee e aromatiche, largo uso trovavano le erbe officinali, che oggi si vanno riscoprendo. Si mangiava la carne, quando c'era.
I nuovi prodotti importati, che ebbero molta fortuna nelle possibilità di impiego, furono addirittura causa di rivoluzioni sociali, come avvenne nell'Europa Centro-settentrionale, con la popolazione che potendosi sfamare aumentò di numero, come illustrato da Nisticò.
Una storia altrettanto avvincente, sulla quale si è soffermata Roberta Staglianò, è quella della dieta mediterranea che, risultante delle abitudini alimentari di diversi popoli che si affacciano sul bacino del Mediterraneo (da qui il nome), viene scoperta e descritta dal biologo e fisiologo statunitense Ancel Keys. Una storia che affonda le sue radici nel Sud Italia: con la realtà di Napoli che fu una folgorazione e diede avvio delle sue ricerche nel Belpaese, con la cittadina calabrese di Nicotera, dove realizzò uno studio sulla popolazione del luogo, confluito nel progetto "Seven Countries Study", comparativo tra i regimi alimentari di sette Paesi apartenenti a tre continenti e Pioppi, frazione del Comune di Pollica, nel Cilento, dove Keys per visse oltre quarant’anni proseguendo le sue ricerche, e luogo dove oggi sorge il Museo vivente della Dieta mediterranea.
Di questo regime alimentare ne sono stati anche evidenziati i risultati scientifici che ne confermano l'importanza con i suoi effetti positivi sulla salute. Riconosciuto patrimonio culturale immateriale dell’umanità dal 2010, è in grado di prevenire o comunque di migliorare numerose patologie croniche degenerative quali per esempio il diabete mellito di tipo 2 e le patologie cardiovascolari. Una dieta, variegata, ma povera di grassi, a base di cereali, frutta, verdura, abbondanti legumi, olio extra-vergine di oliva, pesce e pochissima carne. Nell'ottica di un corretto stile di vita sono stati indicati dei piccoli accorgimenti che, assunti come abitudine, possono contribuire a fare stare meglio e a mantenersi in forma.
Maria Patrizia Sanzo